La contesa per le risorse dell’Ucraina
Source : analisidifesa.it – 28 febbraio 2025 – Maurizio Boni
https://www.analisidifesa.it/2025/02/la-contesa-per-le-risorse-dellucraina/
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Maurizio Boni, nato a Vicenza nel 1960, è stato il vice comandante dell’Allied Rapid Reaction Corps (ARRC) di Innsworth (Regno Unito), capo di stato maggiore del NATO Rapid Reaction Corps Italy (NRDC-ITA) di Solbiate Olona (Varese), nonché capo reparto pianificazione e politica militare dell’Allied Joint Force Command Lisbon (JFCLB) a Oeiras (Portogallo). Ha comandato la brigata Pozzuolo del Friuli, l’Italian Joint Force Headquarters in Roma, il Centro Simulazione e Validazione dell’Esercito a Civitavecchia e il Regg. Artiglieria a cavallo a Milano ed è stato capo ufficio addestramento dello Stato Maggiore dell’Esercito e vice capo reparto operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze a Roma. Giornalista pubblicista, è divulgatore di temi concernenti la politica di sicurezza e di difesa.
Nonostante l’opinionista della testata giornalistica economica Bloomberg Javier Blas affermi, sorprendentemente, che l’Ucraina sia priva di terre rare, il tema dello sfruttamento del patrimonio minerario ucraino, fino a poco tempo fa poco noto all’opinione pubblica, costituisce uno degli aspetti più inquietanti del futuro di questo Paese.
Già alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco il presidente Zelensky ha rispedito al mittente la proposta della delegazione del Congresso degli Stati Uniti di un contratto che avrebbe concesso agli Stati Uniti i diritti sul 50% delle future riserve minerarie dell’Ucraina. Rifiuto che, secondo Politico, sarebbe stato nuovamente ribadito in quanto i termini proposti dall’America colpirebbero punitivamente generazioni di ucraini. “Non firmerò ciò che dieci generazioni di ucraini dovranno restituire”, ha detto il presidente Volodymyr Zelenskyy in una recente conferenza stampa.

D’altronde, il “Piano della vittoria” di Zelensky, che riappare di tanto in tanto svelando sempre nuovi contenuti, prevede di lasciare che gli alleati del suo Paese estraggano i suoi minerali critici.
Minerali che l’Ucraina ha sempre posseduto, come d’altronde ampiamente illustrato in una pubblicazione del Ministero per la prevenzione dell’ambiente e delle risorse naturali dell’Ucraina, di concerto con l’Ukrainian Geological Survey, agenzia statale deputata a “garantire lo sviluppo sicuro, efficiente e responsabile dal punto di vista ambientale delle risorse minerarie, fornendo al contempo benefici economici al popolo ucraino”. Pubblicazione che promuove proprio le opportunità di investimenti esteri nelle risorse minerarie del Paese.
Inoltre, vale la pena ricordare le affermazioni del senatore repubblicano, Lindsey Graham, Presidente della Commissione Bilancio del Senato USA, che aveva candidamente affermato nella sua visita a Kiev nell’estate dello scorso anno, che “l’Ucraina si siede su trilioni di dollari di minerali che potrebbero essere buoni per la nostra economia”, annunciando la stipula di un successivo accordo.

Fonti del canale ucraino Resident (Ufficio della presidenza ucraina) riferiscono che i disaccordi con Trump sulle terre rare si sono verificati a causa del ruolo attivo della Gran Bretagna, che avrebbe già assunto in Ucraina il controllo di strutture e infrastrutture energetiche e industriali chiave.
Nella parte segreta dell’accordo, che sarebbe stato firmato da Zelensky e Starmer all’insaputa di Trump, gli ucraini si sarebbero impegnati a trasferire tutti i porti, le centrali nucleari, i sistemi di produzione e trasferimento del gas e i giacimenti di titanio sotto il controllo britannico.
Un gesto certamente inaspettato da parte di uno dei pilastri della special relationship tra USA e Regno Unito. D’altronde, quest’ultimo, si è scoperto, ha sempre giocato un ruolo di primo piano nello sfruttamento delle risorse minerarie di Kiev.
Il giacimento di litio di Shevchenko, città nel Donetsk nelle vicinanze di Pokrovsk, conquistata dai russi lo scorso mese di gennaio dopo una serie di dure battaglie, contiene circa 13,8 milioni di tonnellate di minerali di litio, secondo uno studio del 2018 del Servizio statale ucraino di geologia e sottosuolo. Il giacimento è il più grande non solo dell’Ucraina, ma di tutta l’Europa. Oltre al litio, il giacimento contiene anche tantalio, niobio e berillo.

Alla fine del 2021, la società mineraria britannica European Lithium, registrata in Australia, aveva annunciato di essere in procinto di “mettere in sicurezza” il giacimento.
Nel gennaio dello scorso anno, la stessa società ha dichiarato di aver ottenuto un permesso minerario speciale di venti anni per il sito, con l’inizio dei lavori dopo l’approvazione degli azionisti. La perdita del giacimento di Shevchenko è un duro colpo per il fabbisogno di litio dell’Unione Europea, che si sarebbe comunque dovuta rivolgere ai britannici, e per il fabbisogno di minerali pregiati in generale.
Un rapporto della Commissione europea del 2020 ha stimato che l’Europa avrebbe bisogno di una quantità di litio fino a 18 volte superiore per i suoi progetti di “transizione verde” entro il 2030 e di 60 volte di più entro il 2050. Quasi tutti i moderni veicoli completamente elettrici e ibridi plug-in utilizzano batterie agli ioni di litio, che contengono litio, nichel, cobalto, manganese e grafite.
Batterie agli ioni di litio simili, ma più piccole, alimentano l’elettronica portatile, inclusi telefoni cellulari e computer. Senza una fonte di litio a basso costo, i giganti automobilistici dell’UE rimarranno sempre più indietro rispetto a Cina e Stati Uniti nella corsa alla supremazia dei veicoli elettrici e saranno costretti a guardare altrove (forse all’America latina) per il suo fabbisogno di minerali e terre rare.
In ogni caso, la corsa all’accaparramento delle risorse ucraine (non solo minerarie) era iniziata ancora prima dei fatti di Maidan.

Nel 2013, l’Ucraina aveva firmato due importanti accordi con le compagnie energetiche Shell (UK) e Chevron (USA) per lo sfruttamento di giacimenti di gas di scisto, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia.
I contratti, di circa dieci miliardi di dollari, prevedevano lo sfruttamento cinquantennale dei giacimenti, rispettivamente, di Yuzivska, situato nelle regioni di Donetsk e Kharkiv, e di Olesska, nelle regioni di Lviv e Ivano-Frankivsk.
Tuttavia, a causa dell’instabilità politica e il conflitto armato nelle regioni orientali dell’Ucraina, questi progetti non sono stati portati a termine come previsto. Nel 2015, Shell ha annunciato il ritiro dal progetto Yuzivska, citando le difficoltà operative legate al conflitto nel Donbass. Allo stesso modo, Chevron ha abbandonato il progetto Olesska, principalmente a causa dell’aumento dei rischi geopolitici e del calo dei prezzi del gas in Europa.
Ma anche il cosiddetto agrobusiness ha attratto l’interesse degli investitori esteri. Nel 2013, la società agricola ucraina KSG Agro ha firmato un accordo con lo Xinjiang Production and Construction Corps un’organizzazione governativa cinese, per la concessione in affitto di terreni agricoli nella regione orientale di Dnipropetrovsk, Ucraina.
L’accordo prevedeva un’iniziale locazione di 100.000 ettari, con la possibilità di espandersi fino a 3 milioni di ettari nel tempo, equivalenti a circa il 5% del territorio ucraino o alla superficie del Belgio. Anche in questo caso la durata prevista dell’affitto era di 50 anni.
L’obiettivo principale era la coltivazione agricola e l’allevamento di suini, con i prodotti destinati al mercato cinese. Tuttavia, questo accordo ha suscitato preoccupazioni riguardo al land grabbing, ossia l’acquisizione su larga scala di terreni agricoli da parte di entità straniere, e ha incontrato resistenze sia a livello locale che internazionale.
Inoltre, i cambiamenti politici in Ucraina nel 2014, inclusa la caduta del governo di Viktor Yanukovich, hanno contribuito a complicare l’implementazione dell’accordo. Di conseguenza, l’accordo non è stato portato a termine come previsto inizialmente.

L’8 maggio del 2023, il governo ucraino ha firmato un accordo con BlackRock Financial Market Advisory (BlackRock FMA) per istituire l’Ukrainian Development Fund (UDF), un’istituzione finanziaria dedicata alla ricostruzione post-bellica del Paese.
Questo fondo mira ad attrarre investimenti pubblici e privati nei settori chiave dell’economia ucraina, tra cui energia, infrastrutture e agricoltura. L’accordo è stato formalizzato durante un incontro a Kiev tra il presidente Zelensky e una delegazione di BlackRock guidata dal vicepresidente Philipp Hildebrand.
Inoltre, secondo un rapporto del 2023 dell’Oakland Institute intitolato War and Theft: The Takeover of Ukraine’s Agricultural Land, oltre 9 milioni di ettari di terreni agricoli ucraini—più del 28% delle terre arabili del Paese—sono controllati da una combinazione di oligarchi ucraini e grandi aziende agroindustriali. Tra queste ultime figurano entità con sede negli Stati Uniti, in Europa e in Arabia Saudita.
Ad esempio, NCH Capital, un fondo di private equity statunitense, gestisce significative porzioni di terreni agricoli in Ucraina, con investimenti provenienti da fondi pensione, fondazioni e dotazioni universitarie statunitensi. Altre aziende coinvolte includono la francese AgroGeneration e le tedesche KWS, Bayer e BASF. Inoltre, il fondo sovrano saudita Public Investment Fund (PIF) e la Saudi Agricultural and Livestock Investment Company (SALIC) detengono partecipazioni rilevanti nel settore agricolo ucraino.
Il nuovo corso delle relazioni tra l’Ucraina e gli Stati Uniti non farà altro che ampliare lo spettro delle opportunità per Washington, ma anche per Mosca, che ha conquistato i territori sui quali giacciono la maggior parte dei giacimenti minerari di Kiev, con buona pace di Bloomberg.
Ci sono vaste possibilità di cooperazione tra Washington e Mosca per l’estrazione di terre rare perché gli USA ne hanno bisogno e la Russia ne ha a sufficienza, Lo ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, citato dall’agenzia Interfax.
D’altronde come interpretare la presenza di Kirill Dmitriev, che dal 2011 gestisce il fondo sovrano russo per gli investimenti diretti, nella delegazione russa dei colloqui di Riyadh se non in chiave di spartizione tra Stati Uniti e Russia del bottino ucraino?

L’Europa, nel contesto appena delineato sembrerebbe disponibile a farsi carico della maggior parte delle spese della ricostruzione, o almeno coì intenderebbe Trump. Così noi metteremo i soldi, ma gli utili se li spartiranno soprattutto americani, britannici russi e, molto probabilmente, anche i cinesi che non tarderanno a riaffacciarsi sul mercato.
Lo scrupolo di Zelensky di voler salvaguardare le generazioni di futuri giovani da possibili contratti capestro con gli Stati Uniti appare come un’insopportabile ipocrisia di fronte alla realtà di un Paese già da tempo svenduto a mezzo mondo.
E molti di quei giovani che Zelensky vorrebbe “tutelare” sono gli stessi che, inviati al fronte obtorto collo, sembrano essere gli unici a denunciare le politiche disinvolte del proprio governo, sulla loro pelle.
Le parole dei milbloggers della 79ª Brigata anfibia d’assalto ucraina, sul canale Telegram della brigata, che si “sentono a disagio” per la richiesta di Trump di 500 miliardi di dollari in terre rare dall’Ucraina, perché non vogliono difendere le miniere americane, sono molto significative. “Mi sto spaventando dopo le parole di Trump sui 500 miliardi di dollari. Non ci hanno dato così tanto per qualcosa che vale almeno il doppio o il triplo. È tutta roba nostra”, dicono i soldati dalle prime linee. “Ora, se c’è un accordo, combatteremo fino alla morte non per i nostri villaggi, città e soprattutto il nostro popolo, ma per i giacimenti già diventati americani”.
È veramente difficile aggiungere altro.